La mia storia dell’apprendimento dell’italiano

L'apprendimento dell’italiano
Di Philipp

Revisionato da: Philipp e Paolo

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  Allora, voglio cominciare con una premessa, perché sì, da un canto un po’ a me piacciono le premesse ma, dall’altro però, è anche assai vero che le adopero volentieri per nascondere la mia pessima capacità di iniziare un testo. Anche in questo caso, per quanto mi sforzassi a inventare qualcosa, non mi è venuto in mente niente che valesse essere raccontato prima dell’argomento in sé. Ma ormai l’introduzione è fatta e dunque posso venire tranquillamente al punto: Come ho imparato l’italiano?

  Prima di tutto voglio dire due parole sul perché lo sto imparando. Una delle ragioni riguarda le mie origini. Le radici della mia famiglia sono lontane dal luogo in cui sono cresciuto e, infatti, affondano nel Belpaese. Mio nonno, attorno al 1958, è venuto in Germania per assicurare alla sua famiglia un futuro economicamente più prospero di quanto, da umile contadino, sarebbe stato possibile in Italia. Dopo aver trovato lavoro, nel 1959, è tornato a prendere anche mia nonna insieme a mio padre, che all’epoca aveva 4 anni. Quest’ultimo, pur avendo frequentato diverse volte al mese una scuola italiana, è cresciuto in un ambiente maggiormente tedesco. Per tale ragione, col passare degli anni, man mano ha perso la capacità di parlare l’italiano e di conseguenza non c’è stato verso di trasmetterne qualcosa ai suoi figli.

  Solo dieci anni fa si è deciso a seguire diversi corsi, recuperando così gran parte di ciò che aveva perso. Sebbene all’inizio rimpiangessi spesso quella possibilità persa di poter essere bilingue – sarebbe bastato affidarmi più frequentemente ai miei nonni – al giorno d’oggi posso constatare che una cosa del genere, verosimilmente, non mi avrebbe avvicinato all’italiano standard, bensì al dialetto abruzzese.

  Sinceramente non saprei dire se questo avrebbe facilitato il mio percorso. Ciò che invece posso dire per certo è che ancora oggi provo una forte invidia per la sensibilità linguistica di mio padre, acquisita durante i primi anni della sua vita, che gli permette di trovarsi a suo agio con estrema facilità pure in situazioni linguisticamente fuori dal consueto. Vedendo che la storia della mia famiglia era ed è ancora pregna di influenze italiane – influenze che si fanno sempre più forti grazie ai molti viaggi che mio padre fa nel suo paese di origine – è nata anche in me la voglia di capirne di più. E per questo mi serve la lingua.

  Sono fortemente convinto che l’italiano non l’avrei imparato affatto se non fosse stato per un apparentemente insignificante evento del 2018, accaduto nella mia stanza dell’appartamento in cui abitavo all’epoca. Ero seduto alla mia scrivania e la mia ragazza di allora mi interrogava sulla mia condizione di mezzo italiano cresciuto in Germania, che perciò non parlava mezza parola in quella lingua. Poi, di punto in bianco, mi ha posto la domanda decisiva: Perché fino a quel punto non avevo preso iniziativa su questa faccenda? Avrei potuto studiare l’italiano con un corso oppure da solo, sopperendo così all’assenza di un’educazione bilingue da parte dei miei genitori. Visto che a questa domanda di risposte in realtà non ne trovavo, il giorno dopo mi sono iscritto al corso A1 dell’università per il semestre seguente.

  Questo è stato l’inizio. Da lì in poi ho passato varie fasi e provato diversi metodi in modo da trovare qualcosa che funzionasse per me. Ma spieghiamolo con calma, passo dopo passo. Devo dire che quasi in tutti i corsi mi trovavo parecchio bene, assai meglio di quanto, per esempio, non mi trovassi al corso di francese che avevo frequentato qualche anno prima. E con questo intendo che in quello di italiano non mancava nessuno dei pilastri da me ritenuti fondamentali in un corso di lingue: un insegnante incoraggiante che sollecita la conversazione tra studenti, un gruppo veramente preso dalla materia, cioè persone disposte ad aiutarsi a vicenda, e infine un libro adatto al contesto, nel mio caso all’università. Insomma, tutto il contrario del corso di francese in cui né l’insegnante né i compagni mostravano segni di motivazione.

  Perciò posso dire che, tutto sommato, sono contentissimo di aver iniziato in quel modo. La cosa più importante che il corso mi dava, oltre al piacere di avvicinarmi alla lingua, era una certa costanza nello studio. Ho dovuto confrontarmi con l’italiano quantomeno quattro volte la settimana, due per via dei corsi e altre due per fare i compiti. Il buon clima all’interno del nostro gruppo, inoltre, teneva efficacemente alla larga la tentazione di assentarmi, anche solo per una volta.

  Certo la solida base grammaticale acquisita con lo studio formale è stata fondamentale ma credo che a fare la differenza sia stata invece la perseveranza impostami dai corsi. Perché, indipendentemente dal metodo applicato, alla fine è quella che fa i “miracoli”. Se oggi come oggi posso parlare con italiani senza ansie oppure sono in grado di guardare qualunque serie su Netflix in quella lingua, il merito spetta proprio a quella perseveranza. Secondo me il metodo in sé ha sì un qualche peso, ma rispetto alle abilità che si conquistano– se si leggono molti libri sarà la lettura, se si parla tanto invece sarà la conversazione – mentre studiare ogni giorno a lungo termine conduce ad un vero balzo in avanti.

  Però, sebbene il metodo scolastico mi sia servito a quanto accennato prima, già dopo alcuni mesi di lezione ho intuito qualcosa: per quanto fossero brave le insegnanti e coinvolti gli altri studenti, il corso non mi poteva dare ciò a cui aspiravo realmente: una scioltezza tale nell’uso della lingua da permettermi di parlare senza la necessità di tradurre dal tedesco oppure di ricorrere a schemi imparati a memoria. Non che io ce l’abbia già, ma, con gli strumenti che adopero oggigiorno, tale obiettivo mi pare quantomeno raggiungibile nel futuro.

  Questo non vuole dire che i corsi non avessero i loro perché: il fatto è – ma è solo la mia opinione – che i corsi non mirano a trasmettere la capacità di sentire propria la lingua, bensì a dare una base solida, partendo dalla quale, il processo di assimilazione diventa piacevole.

  In parole più chiare: durante le lezioni si imparano a gestire certe situazioni col vocabolario adatto (al ristorante, per chiedere informazioni, per fare quattro chiacchiere) mentre con la conversazione si mettono in pratica queste nuove nozioni facendole sedimentare nel cervello. Una volta diventate familiari possono poi facilmente essere “riciclate” in altri contesti. Con una crescente esposizione alla lingua, inoltre, si è sempre più in grado di introdurre parole captate da un’altra parte nel proprio modo di parlare. Solo che, sia una conversazione che un’esposizione sufficienti, sono possibili esclusivamente al di fuori del corso.

  Dicevo “intuito”, perchè c’è voluto qualche anno affinchè quel concetto lo capissi profondamente. Comunque, delle esperienze con le lingue ce le avevo già. L’inglese, tanto per citarne un’altra, nel quale io, dopo otto anni di scuola, non riuscivo a sentirmi a mio agio. Anzi, al primo viaggio all’estero, frugando tra la grammatica imparata, facevo fatica ad esprimere i miei pensieri. Benché prima o poi mi uscisse qualcosa di comprensibile, seppure di pessimo livello, tra quel mio affastellare parole e una conversazione scorrevole c’erano anni luce. E’ bastato quel ricordo per spingermi a optare per una strada diversa. Una strada, all’epoca a me ancora ignota, che mi permettesse di raggiungere più rapidamente la capacità di fare un buon uso pratico della lingua.

  Così, già durante il primo corso, cercavo contenuti italiani abbastanza facili da capire che potessero ampliare il mio lessico. Peccato che di comprensibile, con il mio livello di allora, non c’era niente. Tuttavia, non mi sono rassegnato. Sfruttavo ogni momento opportuno – quando camminavo, quando ero sull’autobus – per ascoltare e riascoltare gli stessi episodi di un podcast creato appositamente per stranieri. Ed ecco, dopo l’ennesima ripetizione, non ero in grado di ricapitolarne interamente il contenuto ma come per magia mi risultava possibile rilevarne l’essenziale. Attenzione, qui non voglio dire che sia necessario tormentarsi incessantemente con sproloqui in una lingua che si capisce a malapena– se potessi cominciare daccapo, farei anch’io in un modo leggermente diverso –, voglio piuttosto porre enfasi sul fatto che ascoltare ogni giorno qualcosa in italiano mi ha dato una vera sensibilità linguistica.

  Ormai, sebbene io faccia ancora molti sbagli, tutto quello che invece mi risulta corretto nello scrivere o nel parlare è solo merito di quella sensibilità. E per seguire un approccio del genere non serve nemmeno tanto tempo. Anche solo venti minuti al giorno sono sufficienti per notevoli passi in avanti. Se un giorno uno ha voglia di andare oltre il tempo prestabilito, lo faccia pure, l’importante è non sentirsi costretti a fare quello sforzo in più anche in periodi difficili, nei quali per ragioni varie siamo più distratti e dunque meno propensi allo studio.

  Insomma, dopo due anni di studio, da un lato frequentavo ancora il corso, per rafforzare la grammatica insieme a persone con obiettivi simili ai miei, dall’altro ascoltavo regolarmente contenuti in italiano. Pur essendo consapevole di non aver nemmeno lontanamente raggiunto il mio traguardo ultimo, che tra l’altro oggi come oggi mi pare un concetto del tutto insensato, era altrettanto evidente che non sapevo parlare quasi per niente. Fatti duri per me, che conoscevo bene la mia ansia nell’uso di una lingua straniera soprattutto di fronte a uno sconosciuto.

  Ormai capivo che, per rimediare a quella carenza, l’unica soluzione era un periodo alquanto lungo e tosto in cui costringermi a parlare più possibile con degli italiani, aiutato da tanti chili di caffè e un po’ di menefreghismo riguardo alle brutte figure.

  In questo sono assai grato ai miei tutor che non sono semplicemente italiani, ma italiani con ampia esperienza nel tenere viva la conversazione con principianti. Loro hanno reso persino piacevoli soprattutto i primi incontri, ma poi anche tutto il resto del percorso. E così nel febbraio del 2020, cioè esattamente due anni fa, ho conosciuto Paolo con cui seguito a fare lezioni ancora oggi.

  Ora, dopo quattro anni di studio, mi è chiaro che il giorno in cui avrò imparato tutto probabilmente non arriverà mai. Però mi sembra che leggere libri, ascoltare podcast ogni giorno e parlare il più spesso possibile, per me sia una strada che funziona  (mi pare che qui vada bene il presente indicativo)  molto bene. Prima di chiudere c’è una sola cosa alla quale volevo ancora accennare, perché mi ha tormentato un sacco durante questi quattro anni.

  Frequentemente, mentre mi esercitavo in conversazioni oppure ascoltavo qualcosa, mi pareva di aver fatto notevoli regressi malgrado il mio studio costante.

  A volte non capivo bene un podcast che pochi giorni prima consideravo una fonte adatta al mio livello. Altre volte dopo l’ennesima ricerca di una parola specifica me la dimenticavo di nuovo. Anzi, insieme a quella mi perdevo anche diverse altre parole che prima, con una volontà di ferro, mi ero instillato saldamente in testa. Ho capito dopo che la mente non funziona nello stesso modo ogni giorno e che, al di là di questo, ha anche i suoi tempi per sedimentare informazioni assorbite.

  Può accadere che due giorni prima abbiamo fatto una conversazione di quattro ore di fila senza grandi problemi e ora fatichiamo ad ordinare una pizza. È assolutamente normale. Credo che il passo più grande che io abbia fatto in quel percorso non risieda né nel padroneggiare la pronuncia né nell’imparare il congiuntivo, bensì nell’accettare, anzi nel godersi, quei periodi di insicurezza. Se mi capita ora, metto da parte i libri e i podcast, preparo un bel caffè e mi metto a guardare una serie TV, non troppo difficile da capire, senza farmi pressioni. L’importante è stare in contatto con la lingua.

 

Alcune risorse ordinate a seconda del livello richiesto:

Italiano Automatico

Podcast Italiano

Marco Montemagno – Il Podcast

Muschio e selvaggio

Breaking Italy Podcast

Da Costa a Costa

Il gorilla ce l’ha piccolo

Fottuti geni

Veleno

The Essential

Demoni Urbani

 

Grazie Philipp

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