Quante volte avete alzato lo sguardo in alto, in una bella serata dall’aria tersa, e incantati dal cielo stellato vi siete chiesti:
Siamo soli nell’universo?
Per molti si tratta di una domanda sciocca, per altri non è importante e per qualcuno, invece, la risposta è affascinante e apre a infinite possibilità e realtà da sogno.
La nostra idea personale, in verità, non è troppo importante perché in ogni caso la domanda è sempre al centro dei pensieri di molti grandi scienziati del nostro pianeta. Avere dei fratelli cosmici è una possibilità molto concreta e da molti anni ormai ci sono programmi per cercare di capire quale delle tante piccole luci nel cielo è la loro casa.
Nel passato altri studiosi hanno provato a trovare una risposta seria alla domanda. L’equazione di Drake, il paradosso di Fermi o il moderno programma SETI sono tutti tentativi di trovare prove scientifiche per dimostrare che non siamo soli nell’Universo e che ci sono altre forme di vita intelligenti come la nostra.
Uno dei modelli matematici più recenti è stato sviluppato dall’Università di Nottingham ed è stato pubblicato sulla rivista di astrofisica The Astrophysical Journal. I ricercatori hanno utilizzato come teoria di partenza proprio l’equazione di Drake ma hanno apportato alcune modifiche e introdotto un nuovo concetto, quello della “mediocrità” del pianeta Terra.
Secondo i ricercatori, infatti, la nostra amata casa spaziale non è troppo speciale, è un corpo celeste comune nell’Universo. Ogni “Terra” simile alla nostra può ospitare la vita intelligente. In poche parole ogni pianeta può ospitare una civiltà evoluta se orbita intorno a una stella simile al sole, se si trova alla giusta distanza per avere acqua liquida e se ha una età di almeno 5 miliardi di anni come il nostro.
Per utilizzare questo nuovo metodo di calcolo il gruppo di ricercatori inglesi ha usato i dati di Kepler, che ha fornito le informazioni sui pianeti con le caratteristiche della loro ipotesi. Kepler è il nuovo satellite famoso con il soprannome di “cacciatore di pianeti” perché può individuare pianeti simili al nostro anche in regioni molto lontane dello spazio.
A questo punto non mancava più niente, gli scienziati di Nottingham hanno corretto l’equazione di Drake, hanno usato i dati raccolti dal nuovo satellite Kepler e hanno calcolato il numero di possibili civiltà aliene simili alla nostra presenti nella galassia. Il risultato è stato molto interessante.
Secondo il calcolo i mondi simili al nostro sono circa 36. Il numero è stato ottenuto nello scenario più pessimista, che usa i criteri di calcolo più selettivi. La quantità è alta e la probabilità molto buona ma questo non vuol dire che possiamo pensare di trovare facilmente queste forme di vita ed entrare in contatto con loro.
Lo studio dice che la distanza media tra noi e un’altra civiltà è di circa 17 (diciassette) mila anni luce. Purtroppo per tutti i fan di ET questo vuol dire che una telefonata a casa loro è davvero troppo difficile. Molto difficile è anche la possibilità di alzare gli occhi al cielo e vedere una versione aliena della Crew Dragon volare sopra le nostre case. La migliore delle ipotesi è che la “Terra” più vicina si trova a circa mille anni luce, ancora troppo distante per una comunicazione rapida.
Non dobbiamo essere pessimisti, la risposta è incoraggiante e possiamo sperare di ricevere segnali o prove più evidenti della presenza di altri inquilini nello spazio. Se i ricercatori di Nottingham hanno ragione, c’è più vita nella via Lattea che in un sabato sera in Italia durante la quarantena. Forse dobbiamo iniziare a mandare segnali in tutta la galassia e avvertire agli amici extraterrestri di indossare una mascherina, i guanti e di viaggiare soli nei loro UFO quando vogliono venire a fare i turisti sul nostro pianeta.